Buoni pasto: come funzionano e se i somministrati possono averli

Introdotti per garantire a dipendenti e collaboratori la possibilità di beneficiare di una corretta alimentazione al lavoro, i buoni pasto rappresentano uno strumento di integrazione al reddito. Scopriamo insieme come funzionano e chi ne ha diritto.

Introdotti per garantire a dipendenti e collaboratori la possibilità di beneficiare di una corretta alimentazione al lavoro, i buoni pasto rappresentano uno strumento di integrazione al reddito. Scopriamo insieme come funzionano e chi ne ha diritto.
Come funzionano i buoni pasto in busta paga? Il buono pasto è un ticket con un valore prestabilito. Esistono sia i buoni pasti cartacei che i buoni elettronici. In entrambi i casi, il lavoratore può usufruirne durante le pause pranzo o fuori dal proprio orario di lavoro presso supermercati o esercizi commerciali convenzionati.

  • I buoni pasto cartacei sono quelli più tradizionali. Per essere utilizzati vanno consegnati fisicamente presso il punto di ristorazione e gli esercizi convenzionati, con un valore per singolo buono generalmente compreso tra 5 e 10 euro.
  • I buoni pasti elettronici sono l’evoluzione più moderna, con i ticket sostituiti da una tessera magnetica o da un’app sul cellulare, dove vengono mensilmente caricati i buoni da poter spendere negli esercizi convenzionati.

Rappresentano, in sostanza, un benefit aziendale e devono essere intesi come servizi sostitutivi di mensa nel momento in cui l’azienda non offre questa opportunità al suo interno. Per capire come funzionano i buoni pasto in busta paga, è necessario ricordare prima di tutto che l’ordinamento italiano prevede una indennità sostitutiva di mensa. Questa si aggiunge alla retribuzione nel momento in cui un’attività non eroga il servizio in questione. Dal momento che è un importo aggiuntivo, viene tassato interamente. Considerati come alternativa all’indennità, per i buoni pasto sono invece previste delle soglie di esenzione da tassazione. Se il singolo buono non supera tale limite, non deve essere riportato in busta paga.

  • Per il buono cartaceo, il limite giornaliero è pari a 4 euro.
  • Per il buono elettronico, il limite è invece fissato a 8 euro.

Ciò significa che sono soggetti a tassazione solo i buoni pasto che, in base alla loro tipologia, hanno un valore maggiore a quanto fissato dalla legislazione. HAI BISOGNO DI UNA CONSULENZA? CONTATTACI Come vengono erogati i buoni pasto? I buoni pasto sono dunque erogati da imprese ed enti pubblici ai propri dipendenti, dopo averli acquistati da una società emettitrice. Con la versione elettronica, il valore viene direttamente caricato sulla card a disposizione. Si crea cos è una catena di passaggi che vanno dalla consegna al pagamento finale.

  • L’azienda acquista i buoni dalla società emettitrice.
  • Li consegna quindi al lavoratore.
  • Questo può impiegarli presso i servizi convenzionati.
  • L’esercente rilascia lo scontrino o la ricevuta e al contempo emette una fattura alla società emettitrice.
  • La società emettitrice ripaga l’esercente.

Va ricordato che il lavoratore beneficiario è titolare unico del buono: significa che non può essere ceduto a terzi. Inoltre, non possono essere convertiti in denaro contante. I buoni pasto sono ormai una prassi consolidata dopo la loro introduzione a partire dagli Anni Settanta. Tra le norme per la loro gestione c’è il Decreto n. 122 del 7 giugno 2017. HAI BISOGNO DI UNA CONSULENZA? CONTATTACIChi ha diritto ai buoni pasto? È proprio il decreto 122/2017 a stabilire chi ha diritto ad usufruire del buono pasto. L’articolo 4, comma C della norma recita infatti che “sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato”, sia a tempo pieno che parziale. Rientrano nella casistica anche le situazioni in cui non è prevista una pausa per il pasto durante l’orario di lavoro. Lo stesso articolo precisa poi che hanno diritto a ricevere il buono anche i soggetti “che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato”. Entrando nel dettaglio, i buoni pasto sono destinati a:

  • lavoratori dipendenti;
  • lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa;
  • lavoratori in somministrazione.

È un punto molto importante della materia, che rimanda al principio di parità di trattamento tra il dipendente e il somministrato e che si estende ad altre tutele, tra cui il sostegno alla maternità e alla paternità. D’altra parte, accade che il tema sia al centro di alcune diatribe giuslavoristiche. È accaduto che alcune aziende non riconoscessero ai lavoratori somministrati il diritto di usufruire del buono pasto. L’intervento delle rappresentanze sindacali ha infine reso possibile l’accesso al beneficio anche a questa categoria di lavoratori. Una fonte di riferimento sull’erogazione dei buoni è il CCNL di ciascuna categoria. Nessuna azienda è infatti di per sè obbligata ad erogare questo beneficio. Se però il Contratto collettivo nazionale sancisce la sua emissione, allora l’impresa è tenuta ad adeguarsi. Il lavoratore che lavora in somministrazione ha diritto a ricevere gli stessi buoni pasto previsti dal CCNL dell’utilizzatore. In alternativa, il datore di lavoro può distribuire i buoni pasto sulla base di un contratto interno aziendale. Il buono pasto, riassumendo, è un vero e proprio benefit che non va associato in via esclusiva con i lavoratori dipendenti, ma anche ad altre categorie come quelli in somministrazione. HAI BISOGNO DI UNA CONSULENZA? CONTATTATCIQuanto ore di lavoro per il buono pasto?Come indicato in precedenza, il buono pasto vale per un orario di lavoro a tempo pieno o parziale (part-time). Per conoscere esattamente l’ammontare di ore lavorative necessarie, occorre rivolgere l’attenzione al Ccnl di categoria, nel caso dei lavoratori in somministrazione al CCNL dell’azienda utilizzatrice. I sindacati per i somministrati, possono supportare i lavoratori nella verifica del rispetto del diritto ai buoni pasto. Non esiste infatti un orario minimo standardizzato: alcuni CCNL indicano almeno 8 ore di lavoro giornaliero, altri invece si limitano a 6. In questo modo la platea del benefit si estende anche a chi ha un rapporto part-time. Sulla scia dell’esperienza per l’emergenza sanitaria legata al Covid-19, il dibattito attorno ai buoni pasto ha interessato il lavoro da remoto o smart working. Anche in questo caso il CCNL vale come riferimento per la categoria di appartenenza. Al di là degli aspetti più strettamente normativi, i buoni pasto hanno almeno tre punti di forza per considerare la loro adozione.

  • Prima di tutto, il welfare aziendale e del personale impiegato. Il pasto è un momento importante della giornata. Distribuendo il buono al lavoratore, l’azienda dimostra di tenere alla sua salute, contribuendo ad instaurare un rapporto di fiducia tra le parti.
  • Organizzare un servizio mensa all’interno della realtà produttiva può essere costoso e impegnativo. Il buono pasto, al contrario, agevola la gestione di tale situazione ed è conveniente. Il lavoratore non è obbligato a tirare fuori soldi di tasca propria per mangiare, mentre l’azienda può godere di benefici fiscali.
  • Quanto ai vantaggi fiscali, riguardano anche i titolari di partita IVA come professionisti o ditta individuale. La deducibilità si applica anche per loro, con una percentuale pari al 75% per un importo massimo che non deve eccedere il 2% del fatturato annuo complessivo.